giovedì 20 luglio 2017

Ho torto, ma voglio avere ragione

Un annullamento della corte costituzionale è un onta notevole, significa che il politico non sa fare il suo lavoro. In un paese civile dovrebbero esserci le dimissioni di chi ha proposto e votato quella legge. 

È di questi giorni la notizia che la corte costituzionale ha bocciato (ancora) una legge emanata dalla Regione Veneto, perchè in contrasto con leggi di rango superiore. Non è la prima volta che succede, e guarda caso sempre in materia di caccia.


Perchè? Semplice, ormai ai cacciatori è stato concesso tutto il concedibile, quindi l'unico modo di dargli ancora qualcosa di più è infrangere i divieti e permettere ciò che altrimenti è proibito. Fino ad alcuni anni fa c'erano le cacce in deroga, cioè l'abbattimento di specie altrimenti protette; per fare ulteriormente contento il cacciatore anche le modalità di abbattimento ed annotazione erano quantomeno fumose. La storia delle cacce in deroga ci è già costata una sanzione dall'unione europea e quasi una seconda.

Ma al peggio non c'è mai fine.

L'estate scorsa la Regione Veneto emanò una legge che trasudava incostituzionalità da tutti i pori, che come punti salienti introduceva il nomadismo venatorio, la deroga alla forma di caccia prescelta, la possibilità di andare a caccia usando barche, addestramento dei cani tutto l'anno usando anche la fauna selvatica e dulcis in fundo la caccia al cormorano. Tutte cose vietate.

Il cacciatore, stando alla normativa attuale, è vincolato ad un dato territorio e la sua possibilità di spostarsi al di fuori è molto limitata. Ciò significa che se da un altra parte ci sono più bestiole che gli interessano lui non può andare li ad abbatterle, significa anche che quando qualcuno fa una cazzata ci sono probabilità di beccarlo, ma se il cacciatore può spaziare in tutta la regione queste si riducono ad un nulla.

Le sentenze non sono facili da leggere per i non addetti ai lavori, quindi proverò a fare una traduzione (in rosso) delle parti salienti.

L'originale, completo, si può trovare qui: http://www.ambientediritto.it/home/giurisprudenza/corte-costituzionale-13-luglio-2017-n-174



Questa Corte ha più volte affermato che,

Porca miseria, non è la prima volta che ve lo diciamo,

con l’art. 14 della legge n. 157 del 1992, il legislatore statale ha inteso circoscrivere il territorio di caccia, determinando, allo stesso tempo, «uno stretto vincolo tra il cacciatore ed il territorio» nel quale è autorizzato l’esercizio dell’attività venatoria. Tale norma statale mira, inoltre, a valorizzare il ruolo della comunità insediata in quel territorio, chiamata, attraverso gli organi direttivi degli ambiti, «a gestire le risorse faunistiche» (sentenze n. 142 del 2013 e n. 4 del 2000).

La legge statale impone dei paletti ben precisi, e voi lo sapete bene

La ripartizione in ambiti territoriali di caccia di dimensione ridotta, desumibile dal complessivo quadro normativo, è necessaria al fine di permettere un’attività di controllo da parte dell’amministrazione competente che, ai sensi del richiamato art. 14, comma 3, verifica periodicamente l’adeguatezza del rapporto tra i cacciatori autorizzati e la porzione di territorio interessata. È in questo contesto che si colloca la norma statale, evocata a parametro interposto, che contempla una richiesta per accedere agli ambiti territoriali di caccia della Regione nei quali il cacciatore non è autorizzato ad esercitare l’attività venatoria. 

Il cacciatore deve essere controllato nella sua attività, quindi deve stare all'interno del territorio a lui assegnato, in modo anche da non creare pericolose concentrazioni di armi in un area ristretta e creare squilibri ambientali

Nella specie, la disposizione impugnata, stabilendo che l’attività venatoria nei confronti della fauna migratoria può essere svolta in ambiti di caccia diversi da quelli nei quali il soggetto è autorizzato ad accedere, senza prescrivere una richiesta preventiva all’amministrazione competente, non consente agli organi di gestione di avere contezza dei soggetti che effettivamente esercitano l’attività venatoria in quella porzione di territorio e, quindi, si pone in contrasto con la richiamata norma interposta.”

Avete pisciato fuori dal vasino poichè avete platealmente scavalcato questa norma impedendo alle amministrazioni di sapere chi è dove.

[...]

La materia della caccia, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, rientra nella potestà legislativa residuale delle Regioni, tenute nondimeno a rispettare i criteri fissati dalla legge n. 157 del 1992, a salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema.

Anche questa ve l'abbiamo ripetuta fino alla nausea. Sì, potete legiferare in materia di caccia, ma entro i paletti della legge statale e rispettando i criteri a cui questa si ispira, non il contrario

Tale legge stabilisce il punto di equilibrio tra «il primario obiettivo dell’adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale» e «l’interesse […] all’esercizio dell’attività venatoria» (sentenza n. 4 del 2000); conseguentemente, i livelli di tutela da questa fissati non sono derogabili in peius dalla legislazione regionale (da ultimo, sentenze n. 139 e n. 74 del 2017).

La legge statale dice che l'obiettivo primario è la tutela e la valorizzazione del patrimonio ambientale, poi viene l'interesse dei cacciatori.

L’art. 12 della legge n. 157 del 1992 dispone che la caccia può essere praticata in via esclusiva in una delle forme dalla stessa previste, al fine di preservare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili.

Ogni cacciatore può praticare solo una delle forme di caccia, in modo da non mettere troppa pressione alle specie cacciabili

In considerazione di tale ratio della norma statale, la legge regionale può intervenire su detto profilo della disciplina esclusivamente innalzando il livello della tutela (sentenze n. 139 del 2017 e n. 278 del 2012).

Perciò si possono mettere eventuali ulteriori limitazioni alla pratica venatoria, ma non togliere quelli già istituiti

La disposizione impugnata, permettendo, sia pure limitatamente, una forma di attività venatoria diversa da quella per cui si è optato in via generale, viola dunque la norma interposta ed è costituzionalmente illegittima.”

Avete pisciato ancora fuori dal vasino.

[...]

Questa Corte, nello scrutinare norme di leggi regionali che prevedevano l’arco temporale durante il quale svolgere l’addestramento e l’allenamento dei cani da caccia, ha costantemente affermato che gli artt. 10 e 18 della legge n. 157 del 1992 rimettono la definizione di tale arco temporale al piano faunistico-venatorio.

Non è la prima volta che ci provate, e non siete i soli. Molti degli aspetti amministrativi in materia di caccia, tra cui l'addestramento dei cani, devono essere indicati nel piano faunistico-venatorio e non con una legge a se.

Tali norme statali assicurano, così, le «garanzie procedimentali per un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco, da soddisfare anche attraverso l’acquisizione di pareri tecnici», con conseguente divieto per la Regione di ricorrere ad una legge-provvedimento (sentenza n. 139 del 2017; nello stesso senso, sentenza n. 193 del 2013).

Questo perchè c'è una precisa procedura da seguire, procedura che serve ad evitare di fare cazzate e di fare dei torti ad alcuni e regali ad altri. Non Potete Fare Le Leggi In Questo Modo. È VIETATO. Quale parte di "Vietato" non capite?

Secondo il ricorrente la disposizione violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 18, commi 1, 1-bis e 2, della legge n. 157 del 1992, che definisce i periodi in cui è consentito il prelievo venatorio, in attuazione dell’art. 7 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici (versione codificata) del 30 novembre 2009, n. 2009/147/CE.

La normativa nazionale ed europea stabilisce quando e come si può prelevare la fauna selvatica. Punto. Fuori da quei periodi non si può. 

La disposizione impugnata violerebbe, altresì, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.: [...] in riferimento al parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), che indica il periodo utile all’addestramento dei cani da caccia, sulla base dell’art. 7 della legge n. 157 del 1992, nell’ambito della sua funzione di indirizzo in materia (parere del 22 agosto 2012); in riferimento, infine, all’art. 30, comma 1, lettera a), e all’art. 31, comma 1, lettera a), della legge n. 157 del 1992, incidendo anche sulla normativa sanzionatoria per chi esercita la caccia nei periodi vietati.

L'addestramento cani lo fate quando ISPRA vi dice di farlo, non tutto l'anno, e non su fauna selvatica, come detto prima. Chiaro? 

[...]

La norma regionale in esame, permettendo il recupero della fauna abbattuta o ferita, utilizzando una barca e con l’ausilio del fucile, legittima l’esercizio venatorio mediante l’utilizzo di un natante. Pertanto, anche alla luce delle sentenze da ultimo richiamate, detta norma, limitatamente alla parte in cui stabilisce che «il recupero è consentito anche con l’ausilio […] del fucile», si pone in contrasto con lo standard di tutela fissato dall’art. 21, comma 1, lettera i), della legge n. 157 del 1992, il quale prescrive il divieto di cacciare servendosi di natanti, ed è dunque costituzionalmente illegittima.

Non si spara dalle barche. Non si può sparare dai veicoli in generale, lo dice la legge e lo dice più di una sentenza.

[...]

Questa Corte, nello scrutinare disposizioni di leggi regionali che prevedevano deroghe al divieto di cacciare specie protette, con legge-provvedimento anziché con atto amministrativo, le ha ritenute in contrasto con l’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 (sentenza n. 250 del 2008).

Se una specie è protetta c'è un motivo. Se ci sono problemi con le suddette specie c'è una procedura che potete seguire. Non una legge, come già detto prima perchè...

In particolare, è stato sottolineato che l’autorizzazione ad abbattere specie protette in deroga, con legge regionale anziché con atto amministrativo, impedisce al Presidente del Consiglio dei ministri di esercitare il potere di annullamento di tali provvedimenti, adottati dalle Regioni, attribuitogli dalla norma statale. Detto potere, per costante giurisprudenza di questa Corte, è finalizzato a «garantire una uniforme e adeguata protezione della fauna selvatica su tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 250 del 2008).

... se fate cazzate il consiglio dei ministri può intervenire per porre rimedio. Ve l'abbiamo detto già altre volte. È il caso che ci diate un taglio

Questa Corte ha costantemente ritenuto che l’elenco contenuto nella disposizione statale, che identifica i soggetti abilitati all’attività di contenimento delle specie protette, ha carattere tassativo: una sua integrazione, da parte del legislatore regionale, riduce «il livello minimo e uniforme di tutela dell’ambiente» (sentenza n. 139 del 2017; nello stesso senso, ex multis, sentenza n. 107 del 2014).

Si è deciso chi può controllare i protetti e quando, e tu non ci puoi mettere il naso. Tassativo.

La risposta non si è fatta attendere.

“Prendiamo atto del pronunciamento della Corte Costituzionale e provvederemo ad inserire la mobilità per la caccia alla selvaggina migratoria, con una nuova formulazione, nel nuovo Piano faunistico venatorio regionale che stiamo predisponendo assieme alla Giunta regionale del Veneto, perché non abbiamo nessuna intenzione di privare i cacciatori del Veneto di questo diritto"

HAHAHAHA! Non ce ne può fregar di meno, intanto anche per quest'anno ce l'abbiamo fatta e ci riproveremo l'anno prossimo. Prima che ci annullino le nuove leggi passerà un altro anno e i cacciatori potranno ancora agire indisturbati. Tanto il costo di questo nostro giochino non cade mica su di noi, ma su tutta la collettività.

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